sabato 7 luglio 2018

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VOGLIO LA TESTA DI GARCIA!
( Bring me the head of Alfredo Garcia, USA 1974)
DI SAM PECKINPAH
NOIR
Durante la lavorazione di "LA BALLATA DI CABLE HOGUE", SAM PECKINPAH, durante una conversazione con FRANK KOWALSKI, sceneggiatore suo amico, sentì quest'ultimo raccontargli di una storia che aveva in mente, si intitolava "Voglio la testa di (un nome a caso)" e l'idea centrale era che il protagonista fosse già morto ad inizio film. Peckinpah rimase affascinato dalla cosa, e cominciò a scrivere un trattamento durante le riprese del film con JASON ROBARDS, e continuò mentre girava "CANE DI PAGLIA" in Inghilterra. Si fece aiutare da GORDON D. TAWSON, e poi portò il progetto, condensato in 25 pagine, al produttore indipendente MARTIN BAUM, che con la sua Optimus Productions aveva accordi per distribuzioni con la United Artists: Baum lesse e apprezzò lo script, che dette il via alla realizzazione. Per il ruolo principale di Bennie, Peckinpah avrebbe voluto JAMES COBURN, ma all'attore non piacque la sceneggiatura, al punto da domandare sorpreso all'amico regista per quale motivo volesse girare un film a suo avviso così sconclusionato. La parte venne offerta a PETER FALK, che era intenzionato ad accettare, ma i tempi non collimavano con i suoi impegni già presi per la serie tv "COLOMBO", e a malincuore dovette desistere: Peckinpah allora dette il ruolo a WARREN OATES, e fu l'ultima volta che i due lavorarono insieme. Per il personaggio, Oates si ispirò nella gestualità a Peckinpah stesso, e chiese di usare i suoi occhiali da sole. Benchè fosse solo al suo secondo ruolo al cinema in lingua inglese, ISELA VEGA fu ampiamente a suo agio sul set, andando avanti con la recitazione delle battute del personaggio non previste nella sceneggiatura, nonostante Peckinpah desse lo stop; nella scena in cui Alita, il suo personaggio, seduce l'uomo che voleva stuprarla, non solo Peckinpah la lasciò fare diversamente da come la scena era prevista, ma addirittura la riscrisse per fargliela girare di nuovo ed allungarla. Per il breve ruolo del motociclista che insidia la donna fu molto vicino ad avere la parte HARRY DEAN STANTON, ma Peckinpah optò poi per KRIS KRISTOFFERSON, con cui aveva già avuto modo di lavorare. Fu un'idea di ROBERT WEBBER quella di connotare il suo personaggio, e quello di GIG YOUNG di un'ambiguità che suggeriva che potessero essere amanti. I due attori vennero inclusi nel film perchè Martin Baum era stato il loro agente. Il salario di Warren Oates fu di 50,000 dollari. Tawson affermò che il forte senso di malinconia e pessimismo che emana dal film fosse in parte dovuto al forte uso di cocaina di Peckinpah, al tempo delle riprese, vizio che gli fu trasmesso da Oates. Sul set le discussioni tra co-sceneggiatore e regista furono numerose e piuttosto forti, facendo sì che i due non avessero più intenzione di girare insieme alcun film. Con l'eccezione di alcuni attori, cast e troupe erano tutti messicani. Peckinpah voleva che il film rendesse la sua idea del Messico, come l'aveva vissuto viaggiandovi e vivendolo: spese molto tempo alla ricerca del bar che fosse adatto come base di Bennie. Pare che il fagotto che Bennie si porta in giro con la testa di Alfredo Garcia fosse ripieno di ritagli di carne, e questo spiegherebbe la presenza di tante mosche attorno all'improvvisata borsa. La macchina di Bennie era una Chevy Impala convertibile del 1962. Nel film muoiono 24 persone.  La lavorazione del lungometraggio iniziò a Settembre 1973, e in quel periodo il regista rilasciò un'intervista a "Variety" in cui dichiarava che per lui Hollywood era il passato, e girare in Messico gli dava molta più libertà di lavorare a modo suo. Ciò causò un boicottaggio da parte della Motion Picture and Televisions Union, nonostante il parziale ritrattare l'intervista di Peckinpah. E' stato l'unico film di Sam Peckinpah sul quale il regista ha avuto il "final cut": tutti gli altri suoi lavori sono stati ritoccati dai produttori. In Svezia, Germania e Argentina fu proibita la distribuzione della pellicola. Il film fu stroncato da quasi tutta la critica americana: ROGER EBERT fu uno dei pochissimi a difendere l'opera. 

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